mercoledì 4 luglio 2007

Avernalia

III – I Vasi Vuoti Dell'Apparenza

Da fonti asciutte non viene ormai,
Che il rimbombo sporadico
Di ciottoli polverosi, lasciati
A sgretolarsi come cadaveri
Nudi sotto il sole; e dalla
Mia penna non sgorgano più,
Fresche strofe sui giorni che furono,
Ed albe dorate e sacre notti d’argento.
Un dovere però, più alto
E pressante, della magra tristezza,
Impone alla mia mano di violare
Un'ultima volta il rassegnato silenzio,
E narrare a chi rimarrà, cosa spinse
A svelare la paurosa vendetta di una Dea ingannata.

Aprile ed i suoi riti,
Dalle strade turchesi di fiori
Carovane traeva alle piazze
Sottostanti gli antichi bastioni.
I profumi di mille cucine,
Salivano lievi negli studi operosi
E nelle cantine, dove Aswi e Timea
Segretamente s’amavano
E con incantesimi, appresi sotto l’aurora,
Creavano sogni di pietre preziose
Per la gloria immortale della propria
Madre turrita. Madre adorata che
Tuttavia, cinta da mura severe, non
Permetteva di scegliere a chi donare l’amore.

“Perché nelle gemme che non provano nulla,
Possiamo intagliare sorrisi estasiati
Ed innamorati avvinti nel reciproco
Desiderio, mentre alle nostre labbra è vietato
Danzare insieme nella luce del mezzogiorno
E mostrarsi almeno una volta
Come le nostre creature, felici?
Bellezza senza vergogna, vergogna di cosa?
Chi pone il confine, il limes ipocrita
Tra cosa è lecito desiderare e ciò che
Aborre la gretta morale? Siamo diverse
Ma un’unica terra le nostre lacrime inumidiscono.
Spaccare in mille pezzi vorrei i sorrisi scolpiti,
Di cui non posso esser specchio.”

“Aswi, mia arruffata, dolce stella d’Aprile,
Contieni la rabbia, non sono le pietre innocenti
A causarti dolore. Esse ci guardano indifferenti;
Nella propria bellezza sono incoscienti
E non sentenziano come corvi pettegoli,
Come i saggi barbuti che arringano dalle navate
Ma nei vicoli, non visti, aprono le vesti
A giovani corpi di efebi campestri.
Tra le mura umide di questa cantina
Dobbiamo resistere, perché il nostro amore
E’ un riflesso sull’acqua: un soffio
Improvviso di vento peggio che cancellarlo,
Può deformarne i contorni e spezzare l’incanto ,
Che abbiamo creato nell’intimità dei nostri sospiri.”

Giovane fiamma, Aswi la Verde, al mondo era giunta
Quando già Timea aveva percorso numerosi sentieri,
Ed ancor più numerosi erano i rovi,
Che nel cuore le avevano inciso parole di prudenza.
Salice e vischio, Timea ed Aswi;
Fragili come i cristalli che facevano brillare
La loro fiamma negli occhi dei molti,
Che da contrade lontane venivano a renderli omaggio.
Timea era saggia, ma non cieca od insensibile
All’amarezza di nascondere il viso:
“Quando il Sole sparisce dietro le creste, perché non
Seguirlo? Perché non cercare una via sconosciuta
Alla nostra felicità? La libertà si nutre di erbe amare
Ma è più tollerabile di una gabbia dorata.”


Secondo canto dell'Avernalia. Fuori dal tempo, ma ancora nel nostro evoluto 2007, le persone sono schiave di ottusi schemi sessuali. Che senso hanno i nostri successi materiali quando lo spirito deve annichilirsi e reprimersi?

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