venerdì 30 novembre 2007

Nox, Amans Pabulorum

Notturno Andriese

Chi mi riporta stasera,
Dai pascoli d'oppio,
Stringedo la mia gola
Secca ad un cappio
Lucente, come l'Ofanto
Gonfio di lacrime
Autunnali. Dolci ombre
Fra i muretti
Tremolano, serpeggiando
Fino ai crocicchi,
Raduno di antiche greggi.
Manciate di crochi
Sulle mie palpebre stanche,
Calcare a manciate
Sparso, nel verde e sul cuore.
Arriverò al Vagno;
Più lontano, forse, se il
Vento mi porta.
La mia transumanza non si
Consuma che sul
Tavoliere iridato di Murgia,
Dove giungono,
Tenui, accenni di salsedine
Levantina.

martedì 27 novembre 2007

Coetus Intra Stipulas

Veglia Per Yule

Il tempo di un frullo
Di ali, nei campi
Che incorniciano l'accosciarsi
Del sole in giacigli
Lontani. Come tante pernici,
Cerchiamo nel bianco
Della nostra routine, i semi
Striati di qualche
Strana erba voglio, o soltanto
Nuovi motivi per
Continuare a sorridere, stolidi
Agli assoli ossidati
Di un'armonica tra i salici.
In alto i calici alla
Luna nascente, sprechiamo
Auguri fuori stagione,
I cui cocci, come spettri
S'addossano ai
Portoni tarlati di un vecchio
Casale.

lunedì 26 novembre 2007

Hiems II

Soffia Il Tempo

L'eta' in cui capisci,
Che una promessa e'
Mancanza di coraggio,
Essenza flebile di rose
Sbiandite dalla pioggia
Di maggio, e' un campo
Tendato di azzurri arabi
E carovane. Ancora
Poco e, sulle dune, il tempo
Non lascera' che tizzoni
Spenti ed impronte morenti,
Di chi ti ha capestato.
Quel vento, che il sole porta
Alla mia pelle e la ruggine
Dona a cancelli senza voce,
Anche il deserto spazzera'
E nel girare della ruota,
La soglia piumata sulle
Sue ali varcherai.

venerdì 23 novembre 2007

Terror Noctis

L'Ospite

Se potessi diventare,
Faro spento tra gli scogli
O grilletto di fucile,
Boia al mondo griderei e,
Suo pari d'ingiustizia,
Nell'oceano iridescente, come
Luna scintillerei.
Come vento tra i campanili,
Ulula nella notte
Il mio appetito insoddisfatto;
Nei fossati scivola,
Come morbo d'oscuri tempi.
Lama sottile, falce
D'argento, sventra il silenzio
Nel suo letto disfatto.
Chi s'affaccia alla tua porta
In quest'ora di presagi?
Apri svelta all'Inatteso, che
Al tuo collo porta
In dono, urla e zanne
Affilate.

giovedì 22 novembre 2007

Quanam Placidus Est Occasus?

Tempesta Al Vespro

Stavo,
Nel vento e sul fiume
Che frammenti di
Autunno trascina con se;
Anch'io fluiro'.
Batte la danza d'incatenati
Sonagli ad un ritmo che
Fugge per ogni bacio perduto,
Per un solo istante
Sotto il cielo, scarmigliato
E rosso di streghe.
Come lampi di ruggente
Emozione, cadono a terra
Le statue dei vecchi padroni,
Ed un respiro si alza,
Vapore vermiglio, sui monoliti.
Pace a voi, la guerra
E' finita.

mercoledì 21 novembre 2007

Lux Dolorosa

Luce

Son quiete le tende,

Non si gonfiano ancora
Sulle ali bramose dell'ora
In cui la bruma amoreggia,
Attraverso le imposte,
Col mio tossire scheggiato.
Dove sei tediosa luce,
Non ti sento strisciare
Con la tua mela invitante,
La mia bocca l'anela,
Anche se altro non sei
Che un surrogato posticcio
Dei suoi baci dispersi
Come la sabbia che, grigia,
Riempie, l'inutile fondo di
Una clessidra infranta.

martedì 20 novembre 2007

Balcanica Spes

Bosnia Express

Ferro che porti,

Nero che copri le rovine
Di Krajna, cosi'
Silenziose tombe dell'Uomo
Di piazza Oslobodjenje.
Ferro slavato, di slava
Malia, drogami
L'anima del verde di
Bosnia, tortuoso
Cuore, trafitto da bianchi
Fucili, tutti
Uguali, tutti spettri
Sulle mura di
Luka, nella cristallina Sava.
Ferro che lento sbuffi,
Verso le spiagge
Di Neum, macina ancora
Miglia e pietrisco,
Tra cui fioriscono a stento
Speranzosi gigli.

lunedì 19 novembre 2007

Lente Hiemare

Alberi Spogli

Colma di fredda aurora
Langue la piana,
Inchiodata tra vedove
Madonne di paglia,
Ma nei campi segnati
Da rughe vetrose,
Sbocciano scheletrici
I palmi dei gelsi.

Come necrotiche
Urla di una terra ferita,
Suturata di brina,
Come mani innalzate,
Ad un tagliente
Ed avaro cielo di vetro,
Stringono, infine,
La loro questua di bora.

sabato 17 novembre 2007

Stellae Maris

Stellata

Nelle notti di brezza,
Le stelle si destano
E non c'è accorto silenzio
Su cui non s'adagino,
In un molle chiarore,
Ardendo e vibrando, come
Strusciarsi di gatti
Su divani di liso
Velluto, che al tatto
Son cera, son tiepida
Carne di donna,
Assopita nelle fiammelle
Di tante lampare.

venerdì 16 novembre 2007

E Somnio Expecivi

L'Addio Dei Gendarmi

Sul nauseabondo altipiano
Mi han promesso
Melma candita di mediatica
Fama. Dopo le bombe,
Dopo aver violato tombe
E profanato le ossa
Rotte d'ingobbiti palazzi,
Il sorriso isterico,
Che puzza di porporati
Lutti, macchia la
Mia faccia da reduce imbelle,
Giocattolo di starlette
Che stilettano,
Con mosse perfette,
I nostri mal guadagnati onori.
Di chi è tornato,
Nessuno è rimasto soldato.
Son tutti corolle di fiori
Nei caposanti a digrignare lava,
Che tra i sepolcri si fa
Degli scontenti inutile bava.

Exsurge

Revolta!

Schegge di pub, i dischi dei
Rancid girano a mille
Nella carne oh peccatori
Che odorate di scintille,
Esplodono bianche gemme
Di ninfea nei boccali,
Simili a lascive meduse.
E quando la notte,
Impazzita sbanda,
Ritrovarsi è facile nei
Riflessi concepiti in vitro,
Abbassando le torce
Su nere tracce di salnitro.

giovedì 15 novembre 2007

Sensualia Oceani

Necronyros

Che turgida notte
Mi apre le cosce dinnanzi.
Tra le sue pendici
Violate, umide d'intensi
Umori di rugiada,
Le ore spogliano il silenzio
Con loquace avarizia
D'immagini contorte, come
Ganci da macello.
La pace dell'appeso sia con
Me stanotte mentre
Pendo da pietosi ferri,
Come quarto di bue
Nel gelo di una cella,
Nell'agro di una stanza
Vuota,
Come vuota è l'alba,
Su un'Atlantide di sabbia.

mercoledì 14 novembre 2007

Nihil Ei Legaverunt Mihi

Eredità

Nell'anemico albore
Di un giorno, di un
Tresette sbancato,
Sfilo il mio decoro
Borghese, come
Un'ipodermica croce
Di buone intenzioni.
Un pasto veloce
E vecchi oggetti,
Dei nonni il passato
Pallore mi strina
La faccia con garbo
E cerata indulgenza
All'ombra dei pioppi.

lunedì 12 novembre 2007

Ille Quod Fluminem Fert

Lamento Per Un Amore Sepolto

Dondolavo,
Sulle balaustre, da cui
Oppio e gerani,
Intrecciano i petali
In bicromica danza,
Anacronica sponda
Di un fiume stagnante;
Ed il gocciolare di
Morte stagioni,
Picchiettava risentito
Sulle mie iridi
Di vetro affumicato.

Un nugolo di sgraziate
Armonie ombreggiò
La signora d'avorio,
Cui dedico ogni mia notte,
E come stormo d'aironi
Defunti,
S'alzò dal letto perlaceo
Del fiume,
Aleggiando verso le odorose
Terrazze, in cui il tempo
Tappezza la mia bara
Di foglie.

Chi è che porta la pira
Prima dell'ora?
Non voglio sfilare
I mie artigli
Dal cuore del satiro,
Che mi nutre con acerbe
Essenze di elleboro.
Ma ahimè la Luna
E' beffarda,
Ed il rimpianto si squaglia
Sui contorni stellati
Della disillusione.

sabato 10 novembre 2007

Ecce Homo Comicus

Dentro Un'Anima Comica

Un sudario di cipria
Indossa il mio specchio,
Rifrange, scheggiato,
Battimani come ronzio
Di mosche annoiate
Celando tra comiche e
Ottoni di segatura
Le crepe di un trucco
Salso, preludio falso
Di una esilarante
Sconfitta.

giovedì 8 novembre 2007

Et Is Vitam Ab Memoriis Separavit

Isole

Cristallo di libri sfogliati,
Come onde
Da venti, chiome di naufraghi.
Sirene e cordame
Di parole insane e relitti,
Reliquie di un'ora
D'incerto e gitano vagare,
Mentre gia' a Zefiro
Isole d'esilio aprono i porti.
Sulla mia pelle,
Sotto le prime stelle,
Affiorano snelle
Tracce di loto, cenotafi sommersi
Di occasionali abissi,
Infrangendo paure di cui
Non ho memoria,
Se non scogli privi di storia.

mercoledì 7 novembre 2007

Qui Tempis Perditis Manet?

In Soffitta

Nel servizio dei giorni
Di festa, conservo con cura
Tutta la mia amarezza
E sogni di seta grezza,
Ammucchiata e sparsa
Tra la cenere di vecchie
Carte patinate, ritagli
Di comignoli,
Ottusi ninnoli,
Che paiono annuire
Al ticchettare servile,
Del mio tempo che
Accenna a sbiadire.

Sine Respicere Ambula

Passeggiata A Novembre

Miriadi, agitata polka
Di chiodi sul selciato
E cippi corrosi
Come spalle di schiavi,
Come ponti di navi,
Come muschio stuprato
Dal grondare impietoso
Delle falde di un solingo
Autunno.

martedì 6 novembre 2007

Ratio Scribenda

Le Ancore Di Atlantide

Gocciolare adamitico
Di pensieri in grassetto,
Sullo specchio di nero
Alabastro e solitario ferro,
Come stoppie in ottobre,
Abbandonate.
Ali insozzate e pesanti.
Ponti rampanti all'infinita
Malia di zenzero, che
Intinge di claustrofobica
Astuzia le mie bende
Ingiallite; scuse per non
Partire.

Memento Fulgere Est In Aeterna Opacitate

Alba Urbana

Sole, timida comparsa
Che sbirci dal sipario cupo
Di ogni giorno;
Di un giorno qualsiasi che
Sia per te ribalta,
Ed affamata platea di guglie,
In bilico sull'orizzonte.
E spumeggiano mille vette,
Ciminiere, elettriche
Vedette di pulviscolo radioso.
L'oggi e' in scena,
Fremono le ombre, le anime
Notturne appese ai lampioni.
Astro ingranaggio, ruota dentata
Irradiami della
Tua Luce rugginosa,
Che la necessita'
Elesse ad aspro ormeggio
Della quotidianita'.

martedì 4 settembre 2007

Honor Patriae Protexerunt

Podgornoje -30°

Menzogna vera
Come i verdi vapori,
Tratti dal ghiaccio
All'aurora.
Ed il canneto nereggia,
Di musica, illusioni e
Drappi di muto velluto.
Cacciatore di orizzonti
Io fui, e poco ancora sarò,
Finchè tiene il fronte,
Finchè il fuoco del cielo
Ci nascode alla vista del
Mostro fumante, dalle scaglie
Di piombo.

Verde l'aurora e verdi gli stracci,
Di umide e gelide notti
Gli instancabili, sadici boia.
Ti capita mai di vedere,
Quando di notte volgi al fiume
La faccia, pallidi spettri
Celati dal giorno in fronde palustri?
Così danzano sotto la luna
Calante i miei camerati
Di un tempo; ed ognuno
Mi parla senza muover
Di labbra, di casa e del pane,
Ed io in risposta mostro loro
Le ossa che rullano stanche,
Come tamburi d'interminabile
Marcia.

Le fiamme ad oriente,
Mi annunciano che
Presto anche io
Diventerò di aironi l'alcova.
La miseria mi riempie lo sguardo
Come la grappa il cuore,
Ed ebbro ardimento mi spinge
A cacciare per l'ultima volta,
Ma stavolta da solo,
Sui campi bianchi
Di neve od ossa.
Dove sta la differenza?

Ai martiri della Divisione Alpina Julia.

venerdì 31 agosto 2007

Ex Iisdem Tuis Oculis Fuge

Occhi

Occhi,
Malevola intenzione,
Schiacci i miei passi
Sul riflesso dello specchio.
Ed il rispetto che
Nutro per me stesso,
Scivola nel grigio
Come il mozzicone
Di una sigaretta,
Nella pioggia di un
Binario vuoto.

martedì 28 agosto 2007

In Umquam Visis Caelis Inerit

Espansione

La mia noia è un orso,
Che scava pesante
Tra le rovine d’inchiostro
Abbandonate da anni,
Abbandonate all’ignavia.
Non pensavo che avrebbe
Scoperto le scale di marmo,
Rampanti sulle mie ciglia
Addormentate. Terribile è
Il risveglio sotto strane stelle.
Brillo di fiamma vorace,
Che impalpabile s’alza
Coalescendo i miei terrori
E l’occhieggiare beffardo
Dell’aliena, alienante,
Corte di astri. Affondo…
Sospeso io affondo e
Sempre più strette si fanno
Le volte del cielo, più sfumati
I contorni della mia identità.
La mia luce tagliata dalle
Sbarre dell’utero al quale
Ritorno, rifluisce nella gelida
Corrente del Lete. Ora mi desto.

sabato 25 agosto 2007

Tempestivus Maeror Est Et Sol Eum Pervulgat

Il Volo Dell'Alba (Urla Impercettibili)

Si apre timido,
Come frutto di madreperla,
Come temesse di apparire
Sgraziato al ballo, che
Tra lo smog lo aspetta.
Il Sole emerge
Dalla mia gola.

Il Sole s'immerge, viola,
Nell'umidità sospesa.
L'avvoltoio bianco vola,
Spolpando l'orizzonte,
Finchè non resta che
Tornare al nido
D'ossa, nel mio petto.

venerdì 24 agosto 2007

Comites Novi Tibi Assequentur

L'Alcova Tra I Cipressi

Così lento, soffocante,
Di zafferano il sudario
Che la mia ombra schiaccia.
Compagno un rosario di gesso,
Non ha resistito al mio
Contorto pregare altri dei,
Altri fari in mezzo a spruzzi
Cobalto: le mie dita ha lasciato.
Ora son solo, ma l'erba di
Vetro, riflette nelle orbite vuote
Presenze aliene, attigue.

Rosa canina, cute.
Spilli di china, un ghigno
Tra le fronde affilate
Dei cipressi, lecca
La mia pelle amara.
Salute, leggete,
Le rime che da altrove,
Nella frescura, istoriano
Le braccia tese, le mie
Spoglie lese ma non temete:
Piove, scarlatto, piove.

giovedì 23 agosto 2007

Oltre L'Impressione

Dismorfosi

Cielo terso e grigio insieme.
Che rimane, se non salnitro
Delle gocce sui davanzali,
Delle giornate tutte uguali
Che inquiete vacillano.
Polverose.

Assenso implicito,
Nei tagli dorati, dai quali
Ammicca il tramonto.
Egli scosta il pesante sipario,
Ed il caleidoscopio viene
Infranto con la mia lucidità.

Abbattuti dal vespro,
Giacciono i prismi come
Muretti a secco in collina,
E tra gli uliveti mostruosità
D'argento proliferano
Su ciò che chiamiamo Terra.

Ecate mia lebbrosa
Regina, dove stendi lo scettro
I cani ululano ed il vento
Mi porta il fetore di mille pire.
Pensare che ci ero passato ed
Una città sotto il sole splendeva.

domenica 8 luglio 2007

Avernalia

V – Il Sangue Dei Padri (II Parte)

“Non erano più schiere gloriose, ma radi pilastri
Di un tempio in rovina eppure austero,
Come piena di onore, è la fiamma morente di una candela
Che ondeggia beffarda nel vento: svanirà presto,
Ma non conosce la resa.
Ecco, candele noi siamo, puro il sangue e viva la fiamma
Della nobiltà. I Lupi ed i Dragoni hanno cacciato per secoli,
Rendendo il nome di Tama il segno temibile della volontà
Di un milione di eroi: in valli lontane, su pianure roventi,
Fino alle bocche ruggenti del Mare profondo.
Un tempo d’acciaio, è venuto e passato, ma i legami
Che strinsero i padri dei padri dei nostri antenati,
Resistono alle maree, come la Torre di Ardea,
Che svetta tra le onde, rosse e mugghianti del Ponente.

Non ricordo granchè della nebbia, che avvolse
Le Case e l’antica onestà di chi queste mura ha innalzato.
Una nebbia sottile che infida ha reso sfuggenti
I chiari confini, il perimetro sacro di ciò che è giusto e sbagliato.
Si dice, che la siccità avesse bandito dalle alteterre
Un’umile schiatta di minatori dall’aria ottusa,
Mettendoli in marcia, piuttosto una fuga, verso
Speranze più volte sfumate nelle steppe bruciate.
Immaginate anche voi lo stordimento di quella torma,
Quando le alte, fulgide torri di guardia si stagliarono
Sullo sfondo ormai scuro dei loro occhi.
A quel tempo i Lupi regnavano ed il Dragone avvolgeva
Mansueto le spire sulle fondamenta di Tama,
La vergine signora di tutti gli eserciti.

I Lupi regnavano sicchè sul nostro nome non
Ha ragione di stendersi l’onta del disonore.
Nella Gerosia i vessilli argentati avevano eletto
Vaero il Saggio, che ahimè più cieco che lungimirante si rivelò;
Furono inviati legati al campo dei nomadi e
Nel tempio di Aversa si tenne consiglio.
Per tre notti e tre giorni i miei avi cercarono, invano,
Di aprire la mente all’Arconte ed uno di essi
Prese per primo la parola nell’alto consesso:
“Da oriente, nessuno mai è giunto in pace,
Dove l’alba arma le proprie legioni tutto brucia in un
Momento. Chi sono costoro, senza insegne, vestiti di stracci,
Che bruni come le zolle vengono a noi? Restituiamoli,
Prima che sia troppo tardi, alla polvere che li ha generati.”

Giovane e pieno di fuoco, il terzogenito figlio di Alisde,
Prima del tempo nella Gerosia era stato accettato;
Poiché il primo seggio dei Draghi, il Fato imperscrutabile
Aveva negato al padre ed ai fratelli maggiori.
Prima del tempo, gli spiriti domestici han vietato
Di stillare il vino; prima del tempo, le nostre leggi
Non permettevano di posare la spada e votare.
Così si apriron le porte ai barbari e firme solenni furono apposte.
Sacrifici ai loro dei ed ai nostri si tennero,
Al tempio di Averna, tra i frassini eccelsi della collina;
E nelle capanne di terra, spuntate a decine sotto la rocca,
Iniziarono a compiere orge e baccanali. Per ultimo,
La Casa dei Lupi aprì le proprie dimore a questi stranieri,
E matrimoni contro natura unirono i figli di Tama ai Levantini.

Passarono gli anni e le amate montagne si sgretolarono,
Come se lebbra le avesse colpite; lentamente, come vermi
Nei frutteti di Ekima, i nuovi arrivati, rapiti dall’avidità
Che la loro natura ancestrale concerne, violarono lo splendore
Dei fianchi dell’Armala, in cerca di gemme brillanti.
Potenti divennero i clan nella città bassa, ad ogni stagione
Più insolenti le loro pretese. Non bastò loro,
Fare ricco commercio, trasformare Tama in postribolo
Ed i suoi abitanti in discinte meretrici dalle chiome furiose;
Alla Gerosia vollero salire, e non secondo il valore di ognuno,
Ma secondo l’oro che turpe brilla e trabocca dal forziere.
Per diritto di sangue e perizia di spada, avrei dovuto
Riportare il Dragone sul trono dell’Arconte, ma la nebbia è scesa
Ed io sono vivo solo per metà.”
Quarto canto di Averna. E' la conclusione delle amare riflessioni di Nausania sulla storia e lo stato attuale della propria città. Si constata come la frustrazione di Nausania, nella figura di "homo urbis" sia dovuta alla perdità di moralità e coesione sociale, nonostante l'apparente prosperità di cui gode Tama.

giovedì 5 luglio 2007

Avernalia

IV – Il Sangue Dei Padri (I Parte)

Antica la terra e forte e tomba d’eroi.
Il croco incorona e sigilla
Tumuli sparsi, cruente passioni
Che le bandiere dei clan han tinto di nero.
Dicono che Selene, nelle notti di nuova
Discenda il fiume, su una barca d’argento
E le onde si levino in segno di sottomissione.
Dicono che Selene tenda la mano,
Ai defunti in procinto di varcare lo Stige.
La dama lucente è piena di compassione e pure
Di lussuria, come quella che liquida gonfia
Scuri boccioli di rosa, e non vuole che giovani
Audaci sprofondino le proprie grazie nell’Ade.
Vibra di gelosia, la sorella minore di Aversa.

Procedevano lenti, come pesa il lignaggio,
Scansando con somma alterigia,
Gli stracci invadenti della plebe rurale
Che nei giorni di fiera gremiva le strade.
Alle spalle della processione, rimpiccioliva
La rocca, sulle spalle dei nobili le armi
Tornavano agli avi, dormienti in bianchi sudari.
Nella colonna che serpeggiava
Come il drago dello stendardo, tra collinette
Solenni, alta la fronte, il profilo aquilino,
Nausania reggeva la scure del nonno
Paterno. Al tiranno che a Tama aveva
Conquistato le rive più ambite del Mare,
Veniva resa la gioia del ferro.

“Chi non reca vergogna alla propria famiglia,
Varchi la soglia di chi la Gran Casa ha servito.”
Doveva chinarsi ogni volta, per accedere all’ara,
L’erede di Alisde il Tritone; e una volta in ginocchio,
Avvertiva insopportabile, il peso gravoso
Dell’ammonimento impresso sul portale di marmo.
L’insopportabile senso di vuoto, che
L’inadeguatezza colma di pugni nel vento,
A lungo fiaccò la voce di Nausania il Mezzo Arconte,
Che nei sogni implorava agli antenati il perdono.
Nelle solitarie ore quando la speranza guaisce
Ed il mondo si ritrae alla vista, intirizzito dal gelo
Chiedeva alla Luna consiglio; nella sua falce
Mezzana, come in un calice, apriva le proprie ferite.

“Mai le tombe han rifiutato d’accogliere un uomo,
Perché, “mea regina noctis”, i miei passi non
Posson calcare leggeri il sacro ipogeo, l’umida
Cripta sull’altopiano che la grandezza della mia
Casa eterna in questa realtà? Sconfinato
E’ il dominio della mediocrità. Il Tempo e lo Spazio
Mi han reso infelice la sua vicinanza. Sono gli
Astri sconosciuti e maligni, o sono io,
Ad essere incapace di replicare le imprese passate,
E rendermi degno di offrire il tributo ai miei morti?
Odiosa la sorte, odiosi i tempi moderni,
E questa città dove l’oro ormai riempie le vene
Più del sangue, ed insozza le dita dei ratti pulciosi,
Che brulicano nei recessi ingannevoli della mia patria.”

Si nascondeva nel silenzio mentre acre, come il fumo
Degli incensi, s’allargava il suo rancore.
“Chi vi credete di essere, voi sanguisughe dei giorni di fiera;
Voi che siete campanule appese a rocce massicce
E vanitosi del vostro apparire, vi ricoprite d’oro.
Nella terra scavate come le talpe, come roditori impauriti
Vi rifugiate nei botri profondi dove la luce è un lusso
Che non potete permettervi, per infine
Gettarvi voraci su pietre abbaglianti.
Abbassate lo sguardo, quando gli Stemmi volteggiano
Maestosi sotto le nubi, scrigni di tuono.
Abbassate lo sguardo alla terra, che vi ha concesso
Una gloria illegittima e passeggera.”


Terzo canto di Averna. Tama è, come diremmo nel nostro mondo, infettata dal male del capitalismo che disconosce la stirpe e le virtù morali e pone al vertice della piramide sociale individui abbietti, di bassa cultura. Il rancore di Nausania, figlio dell'antico ordine in declino, lo lacera internamente.

mercoledì 4 luglio 2007

Avernalia

III – I Vasi Vuoti Dell'Apparenza

Da fonti asciutte non viene ormai,
Che il rimbombo sporadico
Di ciottoli polverosi, lasciati
A sgretolarsi come cadaveri
Nudi sotto il sole; e dalla
Mia penna non sgorgano più,
Fresche strofe sui giorni che furono,
Ed albe dorate e sacre notti d’argento.
Un dovere però, più alto
E pressante, della magra tristezza,
Impone alla mia mano di violare
Un'ultima volta il rassegnato silenzio,
E narrare a chi rimarrà, cosa spinse
A svelare la paurosa vendetta di una Dea ingannata.

Aprile ed i suoi riti,
Dalle strade turchesi di fiori
Carovane traeva alle piazze
Sottostanti gli antichi bastioni.
I profumi di mille cucine,
Salivano lievi negli studi operosi
E nelle cantine, dove Aswi e Timea
Segretamente s’amavano
E con incantesimi, appresi sotto l’aurora,
Creavano sogni di pietre preziose
Per la gloria immortale della propria
Madre turrita. Madre adorata che
Tuttavia, cinta da mura severe, non
Permetteva di scegliere a chi donare l’amore.

“Perché nelle gemme che non provano nulla,
Possiamo intagliare sorrisi estasiati
Ed innamorati avvinti nel reciproco
Desiderio, mentre alle nostre labbra è vietato
Danzare insieme nella luce del mezzogiorno
E mostrarsi almeno una volta
Come le nostre creature, felici?
Bellezza senza vergogna, vergogna di cosa?
Chi pone il confine, il limes ipocrita
Tra cosa è lecito desiderare e ciò che
Aborre la gretta morale? Siamo diverse
Ma un’unica terra le nostre lacrime inumidiscono.
Spaccare in mille pezzi vorrei i sorrisi scolpiti,
Di cui non posso esser specchio.”

“Aswi, mia arruffata, dolce stella d’Aprile,
Contieni la rabbia, non sono le pietre innocenti
A causarti dolore. Esse ci guardano indifferenti;
Nella propria bellezza sono incoscienti
E non sentenziano come corvi pettegoli,
Come i saggi barbuti che arringano dalle navate
Ma nei vicoli, non visti, aprono le vesti
A giovani corpi di efebi campestri.
Tra le mura umide di questa cantina
Dobbiamo resistere, perché il nostro amore
E’ un riflesso sull’acqua: un soffio
Improvviso di vento peggio che cancellarlo,
Può deformarne i contorni e spezzare l’incanto ,
Che abbiamo creato nell’intimità dei nostri sospiri.”

Giovane fiamma, Aswi la Verde, al mondo era giunta
Quando già Timea aveva percorso numerosi sentieri,
Ed ancor più numerosi erano i rovi,
Che nel cuore le avevano inciso parole di prudenza.
Salice e vischio, Timea ed Aswi;
Fragili come i cristalli che facevano brillare
La loro fiamma negli occhi dei molti,
Che da contrade lontane venivano a renderli omaggio.
Timea era saggia, ma non cieca od insensibile
All’amarezza di nascondere il viso:
“Quando il Sole sparisce dietro le creste, perché non
Seguirlo? Perché non cercare una via sconosciuta
Alla nostra felicità? La libertà si nutre di erbe amare
Ma è più tollerabile di una gabbia dorata.”


Secondo canto dell'Avernalia. Fuori dal tempo, ma ancora nel nostro evoluto 2007, le persone sono schiave di ottusi schemi sessuali. Che senso hanno i nostri successi materiali quando lo spirito deve annichilirsi e reprimersi?

martedì 3 luglio 2007

Avernalia

II - I Folli Di Tama

Come pietre che rotolano
E lentamente s'infrangono
Sulle scarpate,
Dilavate appendici di un
Mondo al tramonto,
Inesorabili attimi,
Sadici scalpelli,
Scavano ancora
Dentro stanze ormai vuote,
Dentro anime saccheggiate
Che dondolano spastiche,
Aggrappate al languore
Che nulla riporta al
Passato splendore.

Sono decine, se vi interessa vederli,
Spettri infelici, ai margini
Orientali dell'Armala;
E nelle gole si scuotono,
Ed al vento urlano
Nomi che non ricordano,
Orazioni grottescamente
Affidate agli spifferi.
Sono i folli di Tama,
La rocca sotto i passi dannati;
I primi a cadere
Vittime della cupidigia
E dell'orgoglio insensato,
Che scatenò sul mondo
Le Furie di Averna.

Blasfemo è cantarne
La grandezza in rovina;
I vecchi ricordano amari
I dolci pendii, le ruote
Di legno ed i camini,
Quando accompagnavano,
Fanciulli, i padri a comprare
I piccoli fuochi di pietra,
Che gli artigiani rubavano
Dal seno generoso della Dea.
Erano esteti, si dice,
Sapienti e beati, ma lo
Scavare nel buio, sempre più a monte,
Stese sulle loro mani la tragedia del desiderio.

Erano tra loro i Sette Grigi,
Ognuno alla testa di una casa importante.

Timea ed Aswi le due gemme di Tama
Che santuari di giada intagliarono.
Nel forte era Nausania, che dalla propria dimora
Traeva potenza, e lame affilate forgiava.
Cacciava il leopardo sulle ultime nevi di primavera,
Ermaleo, di pelliccia ed arroganza vestito
Nella città bassa, dove ricchezza e sensualità
Corron veloci, chino sui propri gioielli sedeva Cornelio.
Macrinio, dall’orecchio deforme sfidava
Gli stranieri alla lotta, sotto i colonnati.
Di Avaste il Dannato, non si può parlare:
Colui che tornò, con i folli di Tama è incatenato.

Erano in sette, uno solo tornò
Annoiati e viziosi, gloriosa
Testimonianza di un sangue eccelso.
Nel tempio sempre più radi portarono offerte;
In silenzio imprecarono contro la vita,
Che tutto li diede ma una
Sete nuova non placa;
E nel fuoco dell’insofferenza
La prudenza dei padri,
Le fondamenta della città
Bruciarono, stolti e ciechi.
S’avviarono a compiere
Il loro destino in cima
All’Armala, non più amante e guardiana.

Primo canto dell'Avernalia. E' uno scorcio rappresentativo di un amore finito tra il mondo e gli uomini.
E, come tutti gli amori, se s'infrangono le sue regole, se il voler cercare soddisfazioni oltre il ragionevole porta a tradire, causa la vendetta devastante poichè l'oggetto dei propri sentimenti è anche l'immagine della propria impotenza: consapevolezza intollerabile tanto più per una Dea.

lunedì 2 luglio 2007

Avernalia

I - Sospensione

Stringo i miei nervi
Sotto la luna,
Fili scoperti, elettrico balzo
Oltre la linea che divide
Il giorno dall'orizzonte.
S'addensa l'adrenalina.
Se non credi al destino,
Consulta ora gli Dei;
Se non aspetti nient'altro,
E conti i tuoi passi,
Dà un saluto d'addio
Alle vette fiammeggianti,
Che cingono, ancora per poco,
Le nostre salme incoscienti.

Per chi volano oggi, le urla
Attraverso le gole:conferme
Profonde d'inconfessati peccati.
Le sentinelle defunte, futilmente
Tormentano i sogni di chi,
Ad un errore riparare è costretto.
Immondo coraggio, immane
Vergogna di chi ci ha preceduti.
I passi hanno aperto e
Incuranti di presenze più antiche dell'oro,
La neve proibita han raccolto.
Mai un trofeo
Costò così caro.

Sette erano i Grigi, di onesto colore
Che Averna assegna alle genti,
Che a valle trasportano i frammenti
Del suo cuore immacolato.
Sette salirono il sentiero,
E uno tornò
Portando nei palmi, la linfa
Delle montagne, il bianco trionfo
Di un figlio ribelle.
Come le volpi inesperte,
Che non celano la tana
Allo sguardo affamato
Del terrore chiazzato che,
Silente, striscia tra i massi.

Gli Dei sono ciechi ed impotenti,
Cantano tronfii i borghesi
Che bevono sidro, e mai han provato
L'inquieta compagnia del vento notturno,
Che bisbiglia tra l'erba,
Quando dita ossute, radici maligne,
S'accostano alle caviglie tremanti.
Gli Dei son ciechi ed impotenti,
Cantano per sentirsi sicuri
Ma avventurarsi non osano,
Oltre le foreste che fan da cancello
Al regno immortale,
Ai denti maestosi
Che affondano con rabbia nel cielo.

Gli Dei saran ciechi e forse impotenti,
Come schiamazzano a valle,
Ma le ombre fuggite
Al loro cavernoso serraglio,
Vigilano attente sui passi,
Chiusi per sempre da Araulo.
Prima difesa ed ultimo dono.
Bastava aver fede,
Non seguire orme ignote,
Ad avremmo ancora dormito sereni
Nelle nostre tende fragranti di pelle,
Invece di stare rinchiusi come pipistrelli
Tra queste rocce, che soffocano
L'anima.

Preludio ai Canti di Averna, la dea del sottosuolo nell'antichità italica. Basato sul caos di emozioni che prova chi, appena prima dell'azione, conosce sia la paura che il rancore nei confronti di coloro che hanno causato, con la propria condotta, la sua tragica situazione.

domenica 1 luglio 2007

Archivio (Lavori Precedenti)

Mauretania Tingitana

In marcia legionari
Per un secolo d'acciaio!
L'Atlante è lontano
Ed io balbetto già
Come pioggia sulle corde vocali;
Corde tese, pronte allo scatto,
Pronti a lasciare la pista
Ed a bruciare
Nella mano braciere:
Piombo nell'oro.

Mitiche carovane, cammelle velate,
Donne cariche e sellate
E quattro silenzi intagliati nell'ebano,
Ancorati a blocchi lucenti di sale.
Giungo le mani in preghiera
Incontrando lo sguardo
Della cammella regina:
"Abbassa il tuo velo, non sono il ghibli
Non voltare la testa, riportami a casa."

E abbraccio le donne
E stringo aria immobile.
Non ho più compagni, un sentore d'aceto
Nel caldo asfissiante.
Ad un incerto domani
Meglio non guardare, tapparsi le orecchie
Contro l'odioso, costante,
Tintinnare lontano
Di cavigliere bugiarde.


Espiazione

All'ombra del mondo
Siede un Gigante,
Pensoso, tra le foglie
Che cantano;
Su un tappeto di funghi.
Membra come tronchi
Di betulla,
Scorticati, col ferro piegati
Ma non i ricordi.

Bisbiglia insolente, sì,
La plebe dell'humus
Che pasce nel caldo,
Nella puzza d'ammonio
E deride il gigante
E non teme, non sa
Che i libri non possono
Diventar scudi.
Prigionieri dell'immediato.

Come i germogli del salice,
Come zanne e stagioni,
L'Uomo non dorme:
Complotta in silenzio con
Le stelle crudeli;
La fine dei vermi
Schiavi riottosi.
Larve orgogliose di
Un progresso di vetro.

Verde ed argento:
Una cotta d'aurora
Riveste ora il Gigante
Annoiato dalla civiltà.
Spaventoso è il baratro
In cui affondano i sogni;
Ed a milioni periscono,
Annientati da un urlo,
Tutti quei bisbigli insolenti.


Quando Giunge L'Omega

I nostri anni passati
Riposano negli amplessi
Nascosti e negati
Tra le onde e nei prati
Lasciati a maggese.
Ma quando cala la notte,
Scricchiolano le assi,
Che consegnarono all'Ade
Prematuri compagni.

E si alzano grigi,
Sottili fili di fumo
Da un posacenere antico
Che porto nel petto.
Fili per il burattino qual sono,
Che stilla dolore
Appeso alla luce di
Una lanterna di carta,
Gravida del suo boia.

Non rimpiango nient'altro
Che il perdurare di un ronzio
Come di falene intrappolate.
E' follia intendere
In questa cacofonia d'ali,
Mentre il mondo si confonde
Nei miei occhi dilatati,
E scivola oltre i palazzi,
Il nome che non posso sfuggire.


La Resa

Sei del mattino...
Trecentosessanta tamburi...
Alle porte del cielo,
In fiotti orgogliosi e violenti
Le avanguardie del fuoco
Son giunte.
Pianti strinati, cicatrici,
Mozziconi bagnati dopo
La lotta.

Intorno alla pira del Sole
Brucia l'incenso;
E profumati rimorsi,
Boschetti notturni di sandalo
Dove cacciava il Domani,
Si perdono lieti
Sullo specchio di Er.

Istologia Autunnale

Grandine e formiche
S'insinuano negli spazi,
Lasciati esangui dalla carne
annerita, esposta al gelo.
Un pasto offerto, forse sgradito
Ai margini di un' alba
Che nessuno aspetta,
Che la mia quiete necrofila infetta.

Gallerie, bianco e ghiaccio
E valvole di sfogo:
Non sento piu' le iridi cangiare
Violentate, schiaffeggiate dal mattino.
Resto immobile sul trespolo,
Un equilibrio insoddisfatto;
Mentre tra le fibre
Baccanale e dileggio,
Rendono il blizzard uno scheletro,
Un solfeggio.

Haiku

La sogno e non parla.
Forse non è lei ed
E' un sentore di vodka
Quello che percepisco
In quel rossetto.


Haiku #2

Denaro come aghi di pino,
Muschio su bambole rotte.
Il neon mi porge la notte
su un vassoio d'acrilico.


Libertà 9mm

Regina degli esclusi,
Linea del fronte,
Ruota del sole abbacinante.
Pozzo e catena,
Vi sono devoto,
Nella mia corte privata del re.

Senza ombra, giornate di carta
Nei miei diari scoloriti,
Nelle ragioni dei più.
Istantanea la mia ispirazione:
Si apre rosso il soffitto,
Vola nera la libertà.



Steleo 2007 (Con Eroina Macabra)

A dispersione lenta,
Lascia che si accenda
Il sole sotto le unghie:
La mia pelle di lucertola
E' affamata di visioni
Diafane.

Si compone solo ora
Un mosaico di convulsioni,
Senza ordine di marcia.
Rettili alla fine del cammino,
Su un muretto a secco:
Tracce bianche, le mie impronte
Dimenticate.


Frammenti Lasciati Sulla Via

Lo sguardo vestito di pioggia viaggia nel verde nulla
Che mi invita a restare, macchiato d'ametista
E di Uomo.
Cantare in silenzio il male sottile che ho lasciato
Alle spalle e la voce affogata
Nelle ferite profonde della tua pelle,
Fredda e bagnata, sospirante d'attesa.
Ho toccato scintille di secoli e di un istante,
Nelle parole, nelle pietre, negli occhi di chi sa
Diluire la vita nel mezzo sorriso, nel cielo imbronciato
Di una bambina, più antica del mare e più giovane dell'erica
Appena fiorita.
Mi piacerebbe accettare l'invito ammiccante
E penetrare con dita esitanti nella terra fragrante,
Dove placida scosti il tuo velo.
Come vorrei restare a cantare in silenzio
Sulle tue labbra perlate d'argento,
Ma il sole a cui ho inchiodato i miei polsi,
Cala sempre più a nord nel cielo di Scozia.


Lomar

Memorie,
Notti di luce così lontane da Te
Mia casa sulla cima del mondo.
Nel cuore dei bucaneve
Ripongo neri i miei segreti,
Come allora nel tuo seno pallido.
Madre sterile, vestita di stelle,
Il Libro e la Spada sono persi nel ghiaccio.

Tre son le nutrici di un antico sogno artico
Aldebaran la rossa, tien salda la Spada,
Arturo, che il Libro di Pnakos diede alle genti,
E la superba Polaris che guarda a Occidente
.Le Sorelle han danzato
Una sinfonia aurorale
Destando gli Antichi
Dal sonno più bianco.

Inatteso attimo abbagliante
In cui il gelo aprì il sipario
All'atto unico di Olathoe
Regina coronata di torri.
Rischiara, Arturo la Saggia
Le notti boreali della stirpe di Lomar.
Riposa adesso la Spada,
Nel fodero dell'Orizzonte.

La tempesta imminente
Spense le torce e la Luna,
E le pagine divennero oscure.
Una marea degradata, bestiale nel sangue,
Sommerse le cime.
Di nuovo Aldebaran sorse nel fuoco,
S'aprì l'Orizzonte e pesante calò la Daga.
Ma l'onda non può essere spezzata:
Arginarla alla Sentinella toccò.

Terzogenita fiamma, occhio dell'Ovest,
Desta il mio sguardo
Dove il cielo e l'ombra coincidono.
Il nostro mondo ancestrale preserva, Polaris;
Olathoe si ergerà ancora sull'altopiano
Quando il Tuo cerchio, tra seimila ere, si salderà.
Sempiterna danzasti all'alba di Lomar,
Non tradire i Tuoi figli.

La neve trasforma in cotone le lame,
Le urla in sussurri.
Lungi da me il mondo dei ghiacci
Condotto sono per mano dalla mia Dea celeste
In un sogno tranquillo
Eternamente cullato dall'oblio.
Dolce ancella, hai distolto lo sguardo
Deridendomi con malizia.

Ad ere di veglia son condannato,
Per aver gravemente peccato.
Ad ere di vergogna e rimorso
Il mio cuore è costretto,
Maledetto da fratelli perduti da tempo.
Mai potrò abbandonare questa Terra
Su cui regna crudele la Stella Polare.

Medusa

E' nella pietra il tiranno più antico,
Che fissa memorie su lattiginose
Superfici, sature di riflessi.
E' dello scalpellino incosciente
La silenziosa delazione
Che ha tradito me e la pioggia.
Lei nei miei occhi ed io
Nella sua malinconia, avvinti
Con corde di seta bagnata.
Nella pietra senza amore,
Nulla brucia d'odio
Nè gela il fiato col suo rancore.
Nelle forme scolpite e
Nelle proporzioni d'angoscia
La condanna per il peccato
Che ha tradito me e la pioggia.


Commedia (Sarcasticamente Intesa)

I clienti del mangiatore di sogni
Han mille braccia.
Mille funi d'oppio li sorreggono
Come burattini
Sopra un teatro di miserie.
Recitazione mnemonica,
Perfette coreografie alcoliche
Di ballerini vivi soltanto nei sogni.
Il mondo è la recita di fine anno
Di un regista decandente.

Entomata

Crepitando di carnale delizia,
Ondeggiano masse armoniche.
Moltitudini figlie del sangue
E del banchetto di nozze, brulicano
Su un tappeto verminoso
Di voci umane.
Tamburini sordi scandiscono,
La loro festosa avanzata,
Nelle nostre spirali organiche:
Uomo del Verme sei figlio
Ed al Padre tendi.


Sorseggiando Da Un Samovar Vuoto

Lontani sono i giorni dei buffoni,
Il ghiaccio si è esteso
Dove sorgeva la fiera.
Che tempi sono, Ivan, questi
In cui il cannone sovrasta
Gli strilli del venditore di dolci?
Senza sosta volano i corvi
Da un nero banchetto all'altro;
Senza sosta come il vento nella tundra,
Che sbatte ad ogni ora
Contro le imposte della nostra isba.

Ketamina

Luci acide nei tuoi occhi,
Scivolano liquide
Su un paio di cesoie.
Tagli sognante ricami di pelle;
Aggiusti con movimenti lenti
Bordi scarlatti.
Ketamina, ketamina,
In te bruciano Le sue fantasie.
Ketamina, ketamina,
Sezioni la sua anima
In apatiche simmetrie.
Equilibri dissociati:
Li abbiamo ricomposti
Per mille inverni,
In una cassa di mogano.


Senza Fine

La luna che danza sui rami,
Aspettando la luce malata dell'alba,
Non conosce oblio;
Si specchia da sempre
Nell'iride dei vagabondi.
Siamo riflessi di luna,
Anche quando
La gravità ci abbandona,
E scivoliamo nella corrente onirica
Che lambisce i secoli.
Nulla finisce.

Sabbath

Massi pesanti giacciono,
Sul petto di un'anima
Morta, nel cogliere l'estasi.
Droga, Fede e Sogno,
Sono gli altari per un sabbath
Di falene.
Le fiamme sugli altari danzano,
Guidate dal frinire assordante
D'insetti notturni.
Spento il fuoco, avanza l'alba,
Bagnando di un grigio intempestivo
Le ali bruciate del sognatore.
I resti del sabbath,
Sono essenze che profumano
La mia vita putrefatta.

Costa Del Silenzio

Bianca schiuma amara,
Di sale, di mirto, di fumo;
Ti ostini illusa ne labirinto calcareo
Della costa del silenzio.
Livore di spruzzi, pallore di spettri
Dei sogni che furono,
Illumina la tomba di Eidolon
Il marinaio.Costa del silenzio,
Afferri la notte con denti aguzzi
Deridendo il mondo,
Con un sorriso privo di volto.


Luna

Alta e sensuale, la Luna
Accarezza il suo verde amante
Disteso tra isole di roccia.
Lingua d'argento, gli sussurreraiLa verità?
O le tue dita percorreranno
Come ogni notte un nuovo corpo
Per poi lasciarlo all'alba?
Fatue come i raggi di luna,
Languide di rugiada:
Sono le promesse degli amanti.

Praga (Cornice Per Un Quadro Non Dipinto)

Bianco ricordo di pietre mosaiche.
Neri bastioni a difesa
Di una fede ormai stanca,
Sono cullati al tramonto
Dalla voce solitaria
Di un volino sul Karluv Most.
Dormi Praga, avvolta
In un verde sudario d'assenzio.

La Fine Dei Giorni

Nero il cielo sopra la terra,
Cantate lupi la vostra preghiera di morte!
Tra i vetri infuocati della mia prigione
Sento i tuoni ed aspetto la fine.
Non tornerà il Sole, esiliato
Con la vana Speranza:
Solo i lupi canteranno per sempre
Sotto il cielo nero.

Requiem Maleficarum

Requiem alcolico nel bar delle fate:
Fumo e bottiglie,
Scheggie di piombo.
Dietro al bancone ,un prete profano
Benedice il whiskey e lo versa
Sulla bara
Per l'ultimo rogo.

Sogni Di Sabbia

Non siederò qui ancora per molto:
Sono sabbia.
Il vento mi spazza, le bestie mi calpestano;
Solo il mare accoglie i miei pensieri.
Nelle profondità marine i sogni dormono
E nessuno li disturba.
Sono ancora seduto, tra le foglie morte
Di morte stagioni.
Il Rastrello verrà a gettarmi nel fuoco
E finalmente i miei sogni si desteranno
Un'ultima volta urlando;
Poi silenzio, oblio...

Obscura Amans

Notte oscura amante,
Mi stringi a te in un abbraccio di incubi;
Legami dai nodi mortali
Come la bella tela del ragno.
Oh Notte che sei la mia padrona,
Redimi la mia coscienza annebbiata
E mostrami la paurosa realtà
Alla luce delle stelle.
Nella casa del silenzio
Il tuo schiavo contempla l'oscurità
E prega che non giunga mai l'alba.

Armageddon

Mi sveglierò nudo, ai margini di una strada.
Su di me lo sguardo di un vecchio pellegrino,
Il mantello del colore triste del cielo.
Un alito di vento sulle rovine di Megiddo.
"Adesso alzati figlio della polvere:
Torna alla tua dimora eterna, nei meandri
Polverosi della mia mente!"
La luce di un attimo, il logos ultimo:
Sono il ricordo di un giovane, ora in cammino
Verso le rovine di Megiddo.

Rimembranze

Il nostro tempo
Come le lacrime di un vecchio:
Poche e prive di speranza.


Tributo Al Dio

Verso tre gocce di sangue
Al Genio dell'oblio.
Una per baciare il dolore,
Una per il viaggio oltre la nebbia,
La terza per la Morte:
Cosicchè al tramonto
Conosca il mio nome.


Il Troll E La Rosa

Trovai una Rosa,
Tra le mura di ghiaccio
Oltre le onde e la nebbia.
Ascoltai il respiro triste dei suoi petali,
Le lacrime di rugiada sul suo stelo sofferente.
Trassi la Speranza dal ghiaccio
E la portai nel cuore.
Una notte volli scrivere una poesia
Per sfamare la mia solitudine;
Intinsi la Rosa nel nettare e piansi.
Troppo grosse sono le mani di un Troll:
La Rosa spezzai e i suoi petali morenti,
Spirarono su gocce di sangue.
Non c'è speranza per un Troll:
Dura la roccia, freddo il cuore
Della mia Rosa non sentii più il calore.

Cuore Nero

Non giudicare un uomo
Dalla sua maschera esteriore:
Quanta oscurità può celare una rosa
Tra le sue purpuree cortine di lussuria.
Cuore nero come una perla, splendente,
Alla luce della tua indifferenza.
La morte riveste già il mio corpo
Ma resisto al suo abbraccio
Perchè un veleno più dolce
Mi sta infettando il cuore:
Il desiderio del tuo amore.

Punk Princess

Principessa punk
Nel tuo castello
Dai grigi contorni di fumo;
Principessa di un regno in cui,
Non si oblitera mai il biglietto
Per salire su.

Di borchie e piercing
Trapassi confusi pomeriggi alcolici:
Vuoti analogici
Riempiti di rum.
Vuoti a rendere
Che non son passati mai
Dalla cassa.

Dove vai a quest'ora
Per sfogare la tua rabbia?
Per sfondare a calci
Le porte d'asfalto di
Questa città?
Urla contro questi
Scatoloni rossi, ammucchiati
Sotto il cielo
Che riempiono d'inutile i giorni.

Rit.

Flashback su un tram,
Riportano immagini senza nome,
Ai miei occhi vestiti di noia.
Flashback di un ciao
Sotto le ciminiere,
Mentre prosegui il tuo viaggio
In una periferia
Che non ti appartiene.

Rit.
Per scoprire il tuo nome
Smarrito al semaforo,
Nel traffico delle sei.

Rifiuto Catodico

Dove sono i re, i nostri tiranni,
Che siedono in cerchio e
Si contendono gli steli di Maggio,
Gli strali contorti di rose appassite?
Mai tanto fragili mi son parse
Le loro catene false, false,
Falsi d'autore rilegati in pelle:
La nostra pelle lucente
Di saliva, su cui striciano
Compagne delle ore di buio,
Quando non splende la luna
Ma i cristalli di un monitor.

Veggente del giorno che viene,
Vento patrono delle radiazioni,
Interroga i pixel, i prismi
Sconvolti da cui regnano
Gerarchi truccati.
Sprechi il tuo fiato indovina,
Non ti ascoltero':
Mi proponi la vita in un flipper
Ma io cerco la silenziosa liberta';
Non mi interessa volare, inebriato
Verso luci omicide,
Come i milioni di mosche
Attratte dalla mondanita'.